L’attrice

Margherita Piccin

 

Ha fondato una compagnia tale ‘Gesti per niente’ con sede a Venezia, che produce spettacoli nel territorio trevigiano.
Ha all’attivo ulteriori spettacoli con altre produzioni tra cui Febo Teatro, Jar Creative Group, Teatro della Gran Guardia.

E’ attrice nella storica compagnia veneziana di commedia dell’arte ‘Venezia Inscena’.

Laurea in Arti Visive e dello Spettacolo, presso la Facoltà di Design e Arti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, IUAV.

Diploma presso l’Accademia Teatrale Veneta di Venezia,
scuola per la formazione professionale dell’attore di durata triennale, diretta da Renato Gatto.

Nel giugno 2012 attrice nel cortometraggio vincitore di numerosi premi:
’Anna’ dei registi Diego Scano e Luca Zambolin,
 prodotto da Francesco Bonsembiante – JoleFilm srl e Officina Immagini, presentato all’interno della rassegna cinematografica Veneto Film Tour.

Nel maggio 2013 
riceve il ‘Premio Città Impresa ai 1000 giovani talenti delle Venezie’, Vicenza.

Nel settembre 2014 attrice nel cortometraggio ‘L’ospite’ regia Amin Wahidi,
Vincitore del Premio ‘Città di Venezia 2014’ in ambito della 71’ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

E’ attualmente impegnata in vari progetti teatrali.

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Lo Spettacolo

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Un viaggio alla scoperta dell’America rurale tra Old Time Music e letteratura.

La musica della grande tradizione americana si fonde con la grande letteratura che quella terra ha saputo generare per ricomporre un quadro dal grande potere evocativo.

 

Descrizione

Tutto nasce dall’incontro con un libro, BLUE HIGHWAYS, di William Least Heat-Moon. Anzi, ancor meglio, dall’incontro con l’etno-musicologo e poli-strumentista Claudio Dina che quel libro conosceva bene tanto da avergli ispirato un suo precedente lavoro. Riemerso dal meraviglioso turbinio di emozioni che quel libro è in grado di farti assaporare, restava appiccicata sulla pelle la sensazione che solo i grandi spazi aperti riescono a regalarti. Spazi dove nulla si frappone fra il tuo sguardo e l’orizzonte e dove tutto quindi sembra possibile: il grande sogno americano. Quel sogno che scrittori come William Least Heat-Moon, Willa Cather, Walt Whitman, Jack London e Frank McCourt hanno saputo raccontare e incarnare.

In STRADE BLU le loro pagine raccontano le grandi epopee e le contraddizioni che hanno reso l’America quel paese capace di ispirare grandi sogni: l’emigrazione e i coloni, la schiavitù, il treno e quel fecondo contesto musicale possibile solo in una terra che fu ed è a tutt’oggi un crogiolo di culture e tradizioni.

Testo e riduzione teatrale – Stefano Bonato

Consulenza musicale – Claudio Dina e Stefano Santangelo

Tecnica audio/luci –  Michele Pordon

Regia – Daniela Mattiuzzi

 

progetto artistico

Old Time Music

Con  Old Time Music   si definisce la musica tradizionale dei Southern  Appalachians, che veniva eseguita negli anni ’20 durante la cosiddetta epoca  di “commercializzazione”.

Sociologicamente è il frutto della fusione di tradizioni diverse: alla base c’è la musica popolare di origine anglo-scoto-irlandese portata dall’ immigrazione verso il Nuovo Mondo. Successivamente si verifica l’incontro della tradizione culturale rurale con la musica afro-americana prima e con la realtà dell’America urbana ed industrializzata poi.

Quest’area vive una prima fase di isolamento, in parte motivato dalle particolari condizioni geografiche, in parte voluto. Tutto ciò che riguarda la musica di questa regione veniva identificato con il termine hillbilly: un attributo dispregiativo usato dagli abitanti delle città. Etimologicamente da hill (collina) e billy-goat (una specie di capra diffusa nella regione): dal che si deduce che gli “Hillbillies” erano considerati  quei caproni che vivono sulle colline.

Quella che genericamente chiamiamo musica popolare americana è dunque, paradossalmente, nata in Europa.

In realtà tutta la cultura americana è, oltre che poliglotta, non-indigena. La nascita della musica popolare americana è legata alle prime immigrazioni di una certa importanza che si verificarono dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dall’Olanda, e che dettero l’impronta a quello che diventerà lo spirito dell’uomo americano. La  cultura che ne derivò era qualcosa di incredibilmente composito per la varietà di razze e nazionalità, per l’estrazione sociale (ricchi, poveri, contadini, artigiani, mercanti, musicisti, intellettuali) e per la coesistenza di religioni diverse (cattolici, quaccheri, battisti, metodisti).

All’origine dell’ Old Time Music dunque, si possono porrer le antiche ballate e songs inglesi, le fiddle-tunes (brani per violino), ed in parte la musica religiosa.

L’adattamento dei coloni e della loro musica alle condizioni di vita sugli Appalachi fu graduale. Nonostante l’isolamento di questa regione, avvenne, soprattutto nel XIX secolo, la penetrazione di esperienze musicali maturate altrove ed il oro successivo inserimento nella tradizione. La presenza degli schiavi neri del Sud, la Guerra Civile, lo sviluppo economico ed industriale e soprattutto la costruzione di ferrovie, accrebbero la possibilità di scambi culturali tra le due realtà sociali: urbana  e rurale.

All’inizio il fiddle (violino) era l’unico strumento, successivamente se ne aggiunsero altri e la musica, soprattutto vocale, fino alla metà dell’800, si arricchì di nuove sonorità, di nuovi stili che sarebbero risultati fondamentale per al sua evoluzione. Verso la metà dell’800 sulle montagne il banjo era già popolare: cominciò così  a prendere forma quella che in seguito sarebbe stata la musica delle prime string band (gruppi musicali costituiti da soli strumenti a corde) rurali del Sud. Il banjo, strumento di origine africana e di concezione particolarissima nella versione americana a cinque corde, modificherà fortemente la struttura melodica e ritmica originara di questa musica. A seguire l’aggiunta di chitarra, autoharp, mandolino, dulcimer, ukulele e contrabbasso,  daranno al genere, con il loro insieme di abbellimenti alla melodia principale, una forma meno arcaica  e più fruibile.

da:  COUNTRY MUSIC di Mariano De Simone (Dataews ,  1^ ed. giugno 1985)